Dialogo “Sulla contemporaneità”

Giovanni Scardovi, scultore e poeta, vive in Romagna. Ha pubblicato “LE VIRTU’ DELL’ASSENZA, edizioni Edit,; prossima pubblicazione “EREMITA D’ATTESE”.



Dal momento che l’arte sfugge ai vari criteri di oggettività, cos’è che ci fa dire che “una cosa è più arte rispetto ad un’altra” . Cos’è che fa dell’arte la vera arte?

Penso che per l’opera sia determinante una dimensione poetica; è la poesia che determina la validità artistica. Nel suo rappresentare il mondo l’arte lo interpreta attraverso: immagini, suoni, parole, e nell’esprimerli, allude, evoca, insinua rivisitando con occhi nuovi la vita di sempre; quando riscopriamo nelle stesse cose rappresentate un’alterità, siamo nell’intensità siamo nell’intensità dell’opera.

Oggi uno taglia delle tele o ci piscia sopra ed è un grande artista, domani nasce Picasso e nessuno gli da retta…

Il meccanismo delle avanguardie è giocato sul linguaggio della provocazione; solo che oggi il concetto di provocazione va rivisto completamente perché non provoca più un accidente. Nel contemporaneo c’è molto spesso un ritorno al sacro, rispetto quella che era invece una dialettica dell’immagine in termini provocatori; ritorno al sacro perché si torna a cercare nell’origine degli archetipi un messaggio profondo della coscienza e dell’ origine.

La provocazione come forma d’arte; che senso può avere assieme alle neo-avanguardie, Duchamp, Piero Manzoni o “Warhol” oggi?

Una meteorite che accascia il papa, un barattolo di merda, un asino che vola, sono alcuni esempi di boutade creativa del contemporaneo. Ma le battute, non sono arte, di questo passo l’assurdo del Dada diventerà DADAUMPA. La provocazione non è determinante per l’opera c’è necessità di una forza evocativa profonda, di un respiro poetico, l’opera vive di una sospensione magica.
Se negli anni sessanta una bottiglia di coca cola rappresentata, era esteticamente parlante, oggi non lo è più. Occorre tenere conto che la pop art si basa su una poetica di tipo sociologico; quindi è illustrazione parodistica dell’oggetto e reificazione del presente.

Però ancora tutt’oggi, la “pop art” è usata e strausata in varie forme artistiche nonostante tutto…

Oggi c’è una dimensione che si identifica da una parte nel senso profondo del sacro, dall’altra sulla logica delle neo-avanguardie che è una logica del “qui ed ora”. C’è un saggio di Elémire Zolla “Verità segrete esposte in evidenza”, che attacca le “avanguardie”, affermando che con “l’immediato contingente della presentificazione” l’avanguardia non ha rimandi; l’avanguardia esiste “nella performance del momento”, è un momento, si fonda sulla nullificazione del significante.

I criteri di valutazione riguardo “uno spessore di un qualche tipo”, è innegabile che nel tempo cambino, sono sempre molto variabili…

Condivido abbastanza l’affermazione del Papa nel definire quella che è “Una dittatura della relatività…”, a prescindere dall’essere o no cattolici, quello che implica la “dittatura della relatività, è dato da un mondo in cui l’informazione viene scambiata per sapere, mentre l’informazione non ha fa altro che banalizzare e nientificare i messaggi della profondità del senso e del significato.

Tu hai avuto anche il privilegio di essere amico con Enzo Melandri, grande personaggio e docente di filosofia teoretica a Bologna negli anni ’70, che solo recentemente è stato seriamente rivalutato con la pubblicazione di vari suoi trattati…

Conobbi Enzo Melandri negli anni ’70, e rimasi affascinato e colpito dalla sua intelligenza, era dotato di grande capacità di attraversamento critico; con dei saperi sia antichi che contemporanei, la sua era una visione neo-razionalistica.
Il suo saggio sull’analogia “LA LINEA E IL CIRCOLO”, poneva interrogativi ed apriva prospettive, che allora non furono recepite nella loro ampiezza, era andato oltre “Le parole e le cose”, il suo progetto, era portare il pensiero filosofico attraverso un’ermeneutica dell’analogia a sapere scientifico; tracciando una metodologia che partendo dalla dialettica fondava il superamento del metodo fenomenologico e strutturalista allora imperanti. La sua dimensione è una dimensione di attraversamento delle filosofie; non è una “scaturigine del pensiero”, come può essere quella Nietzchiana. Enzo era un creativo attraverso l’esercizio critico teoretico, ma forse non erano ancora i tempi…lui è andato oltre somiglianze e differenze creando una fisica dell’analogia.

E come persona? Raccontavi di queste serate Romagnole, delle cene del solstizio e dell’equinozio…

Ci si trovava in Romagna a casa di un comune amico: Mauro Montanari, nel suo giardino, alle famose cene del solstizio e dell’equinozio, cene e convivi che terminavano all’alba con bevute e libagioni spesso pantagrueliche e un dispiegamento di argomenti e teste notevoli, il vino ed il bere oltre ad un piacere diventava un rituale atto a creare una temperatura di fusione tra individui. I vini erano ottimi, e tutti gli esperti del luogo erano giorni prima mobilitati a cercarli. Da notare come nessuno dei convitati perdesse di lucidità e discorsi e dialoghi continuassero per ore in modo avvincente.

Il contesto generale della Romagna influenzava queste “menti”, almeno mi pare…

La Romagna è una delle regioni più belle ed eccitanti da me vissute, un luogo di iperbole, in Romagna tutto è un po’ eccessivo come un film di Fellini, gli individui più che volti sono maschere, e personaggi nelle loro accentuate caratterizzazioni, è un luogo di estremismi e di forte teatralizzazione , ma non è la teatralità della mascherina del “carnevale veneziano”; è l’eccesso che sfiora la caricatura come nei personaggi di Amarcord, il tutto calato nel senso della vita che passa, per ciò “meglio far subito quello che vuoi”, perché “del doman non v’è certezza”, truculenta e malinconia, dolcezza e passione, il tutto in una marcetta di Mino Rota, che ti da il senso del tempo che se ne va. Come in un’immagine pascoliana: “Don, don, don e ti dicono dormi, sussurrano dormi, là voci di tenebra azzurra, mi sembrano canti di culla, che fanno ch’io torni com’era, sentivo mia madre e poi nulla sul far della sera”.
Poi c’è da dire che l’Italia in genere ha questa grande fascinazione data dal fatto che non essendo stata nazione, è carica di un’eterogenia antropologica e anche urbanistica che non esiste in altra nazione al mondo. Fai cinquanta chilometri e cambia tutto.
Ogni provincia è molto caratterizzata; se passi dal rinascimento Mantovano a quello Fiorentino, fai pochi chilometri, ma da Mantova a Ferrara, sono due tipi di rinascimento diverso, con due architetture che testimoniano una vitalità diversa del rinascimento.
Questo può avvenire solo in paesi come l’Italia che non è mai stata nazione…

L’individualità dell’antropologia del territorio si sta perdendo rispetto a venti-trenta anni fa; questa grande forza di omologazione che è fortemente influenzata dall’imperare dell’America, quanto incide?

L’omologazione cambia le cose, e i personaggi sono ora più gente che individui, ma se gratti sotto…puoi ritrovare i volti, le tipologie ed i modi dei caratteri antichi.
Il processo di omologazione è prodotto dall’eccesso di comunicazione dei media, sono i media che mediocrizzano rendendo il mondo “villaggio globale”, nella banalizzazione informazionistica le differenza vengono così a perdersi, ed i luoghi tendono ad uniformarsi a regole di vita simili. L’America è per eccellenza il paese delle mediocrizzazioni mediatiche, tutto quanto fa spettacolo, e lo spettacolo è apparenza, ma l’apparire non è essere.
Gli Stati Uniti sono i grandi confezionatori della vita come prodotto, i miti dell’America oggi sono successo, riuscita, denaro, l’altra faccia è l’emarginazione angosciante di una opulenza che si trasforma in obesità, trabordante come trabordante l’ideologia democratica degli Stati Uniti, ma quando la democrazia diventa qualcosa da esportare, significa che non è più democrazia. Il dramma dell’America d’oggi sta nel suo puritanesimo, tragicomico. Questa sua forma di omologazioni brutale fondamentalmente si coglie dai prodotti che emana in una eccedenza di confezione. L’esistenza umana è trattata come un prodotto; ciò è stato esportato anche alla coscienza europea, ma l’Europa detiene un forte senso delle origini per cadere totalmente nell’apoteosi dell’oggetto, sia pur trasfigurato ironicamente o parodisticamente come nel caso della pop art che detiene in maniera forte, ha almeno per ora meno rischi di questo tipo.
La parodia dell’oggettualità non è mai ricerca dell’origine e dell’archetipo, è esercizio del presente e della sua contingenza mondana.

Cosa ami, e cosa pensi riguardo la letteratura contemporanea e la sperimentazione linguistica…

Del nella letteratura amo particolarmente la poesia, che in Italia ha per altro degli esiti notevoli. Mentre in America potrebbe essere affascinante da Henry Miller fino Bukowski. In Italia, se ripenso alla concezione delle neoavanguardie nelle teorizzazioni del gruppo ’63, il prodotto è unicamente una speculazione intellettualistica del fare scrittura, senza opere che avessero spessore; quindi molte mobilitazione sulla ricerca del linguaggio sono state deleterie.
Il linguaggio non si cerca si trova, attraverso l’ascolto del mondo tramite il sé. Quando si comincia a giocare sulla sperimentazione linguistica, vedi Sanguineti, e i vari teorici del gruppo ’63, le cose mi sembrano ridotte ai minimi termini.
Allora un Sereni, un Caproni, un Luzi, un Bertolucci, diventano dei giganti, un Zanzotto perde molto della forza significante che sembrava avere nella sua ricerca.

Perché quelli diventano dei “Giganti” e altri no?

Perché l’ascolto della persona nei confronti del sé e del mondo è più forte rispetto al fatto di raccontare il mondo attraverso una parola che si è guardata allo specchio. Il successo commerciale invece nel mondo contemporaneo non è qualificante della grandezza di un opera, anche perché i valori della contemporaneità sono spesso legati a motivazioni mediocrizzate, nella contemporaneità la genialità è emarginazione, perché le cose per funzionare devono essere né troppo, né troppo poco. La confezione non vuole: né il genio, né l’incapace, ed il genio è spesso per altri versi incapace di vivere nella norma. Il pensiero nel mondo contemporaneo non procede per “universali”, ma per frammenti, ma il frammento non è parte del tutto come era nel rapporto tra micro e macro cosmo. Oggi più che “Una stagione all’inferno” puoi trovare “una stagione al club mediterraneè” ed i giganti diventano vai dove ti porta il by pass dell Tamaro.

L’affermazione per me abusata nell’arte e in letteratura che “la forma condiziona il contenuto” è un pretesto allora?

Purtroppo, è stato creduto troppo spesso; che la forma già di per se stessa fosse contenuto, mentre oggi si scopre che dietro a molte forme non esisteva niente, oppure esisteva ben poco.
L’affermazione “le forme sono forme del contenuto” è vera, però se il contenuto è debole, povera forma. Non credo nel pensiero debole; è una sociologizzazione della filosofia.

Negli ultimi cinquant’anni chi eleggeresti come intellettuale in Italia?

Direi Elémire Zolla e Ceronetti, dei grandi reazionari. Reazionari nell’accezione di colore che hanno sfidato la modernità, e il progressismo idiotoide della contemporaneità.

Se invece dovessi eleggere alcuni autori nella letteratura e nella musica…

Nella narrativa una delle cose che più mi colpì in giovinezza fu la scrittura de Henry Miller “tropico del cancro e tropico del capricorno”, ma anche tutti i suoi testi, nella poesia vedo molti Italiani , ma anche Iosif Browsky, ancora un altro gigante del nostro secolo è stato Cioran, che è un dissolutore di credenze: “Sono un mistico perché non credo in niente”. Il niente è una totalità enorme che avvicina al divino.
Nella musica ho amato Wagner e i post wagneriani tipo Mahler, che è di una struggenza magica. Quindi un decadentista, ma poi mi piace anche Stockhausen , e certe canzonette, e anche certi francesi che hanno una struggenza notevole.

Quanto è importante “il senso della nostalgia” nella poesia…

Beh, dietro la dimensione lirica c’è sempre un paradiso perduto; quindi se è perduto c’è sempre una ricerca dell’origine di questo paradiso; c’è sempre un Ulisse che ritorna ad Itaca. Il “nostos”, è incarnato da Ulisse e dai suoi viaggi.
La nostalgia in termini astrologici è il ritorno alla quarta casa, e la casa dell’origine in astrologia è incarnata dal segno del cancro che è un segno lunale, perché la luna è memoria tra le attribuzione simboliche; oltre che infanzia e donna, è anche memoria.
Il fascino non c’è se un qualcosa non ha un rimando.

In passato hai pubblicato una raccolta di tue poesie “Le virtù dell’assenza” un nome significativo, che è un paradosso…

Quando decisi di dar titolo, pensavo che tutto quello che si muove, sia determinato da qualcosa che non c’è, che non possediamo. L’assenza pone nella condizione di dare forma a qualcosa che non esiste. Quindi la grande virtù dell’assenza è quello di dar forma all’invisibile.

Sta per uscire anche questa tua nuova raccolta “Eremiti d’attesa”

Questa raccolta tratta di un ossimoro, parla appunto di questa dimensione di fronte, di questo ossimoro, come dire : “Mentre ti odio, dov’è che ti sto amando, perché si vive per contraddizioni, e solo accettandole siamo in armonia. Eraclito diceva: “La strada che sale e quella che scende sono la stessa strada”.

Che Cos’è l’erotismo..?

E’ là dove la dimensione genitale non esiste.

Te come me, dicevi appunto di preferire gli erotomani ai sessuofili…

Sì, eroticamente si vive. L’importante è che nella vita del quotidiano ci sia una dimensione erotica, più ancora che venga esercitata la sessualità; perché a letto ci si sta qualche ora, “alzati” ci si sta sempre. La dimensione erotica vive sulla logica del desiderio, ma vive su una logica in cui il desiderio non ottiene mai pienamente corpo. Quando il desiderio reifica, cioè traduce in cosa l’oggetto amato, l’erotismo muore.

E il rapporto tra eros e tanatos…

I greci antichi dicevano che l’eros è legato al tanatos. Il continuo esercizio della sessualità produce un istinto di morte notevole, un’angoscia di morte perché in questo esercizio l’oggetto desiderato si sposta sempre più i là, diventa sempre più irraggiungibile, più lo persegui più è imprendibile; allora tanto vale accettare l’imprendibilità e lavorare su questo.
E’ capire che alla base del dolore umano c’è il desiderio come dicono i buddisti.

L’erotismo nell’arte come lo vedi?

L’erotismo nell’arte è diffuso.
Un taglio di Fontana lo trovo molto più erotico rispetto a molte altre cose, perché dice, ma tace. In Magritte può essere mentalmente, fortemente erotico. L’erotismo in arte è praticamente presente a prescindere dal fatto che lo si voglia o no. È un’emanazione.

Mi facevi notare che nella condizione dei giovani oggi c’è molto meno erotismo rispetto a quanto poteva essercene un tempo, questa è un’affermazione che condivido appieno…

Sì, perché il femminile si è maschilizzato e il maschile si è femminilizzato, e in questo modo le differenze sono diminuite, per cui il grado di pulsione desiderante si è abbassato.

Anche il dialogo è cambiato, il modo di porsi verbalmente tra i sessi opposti.

Sicuramente, perché attraverso questa minore differenza, il dialogo si attenua.
Gli essere umani fondamentalmente sono più soli, e devono fare i conti con l’ascolto della propria solitudine.

Anche l’alternativismo è modo per fare questi conti?

Il discorso degli alternativi, è più un fenomeno di tipo sociologico non sono di ordine etico. Sono mode culturali, non sono saperi, conoscenze.

Tu che insegni in Accademia di Belle Arti sono quasi trent’anni, per cui hai potuto vedere varie generazioni. Com’è cambiato il modo di vivere di insegnare e di percepire l’arte?

Io devo sottolineare che avendo sessant’anni, appartenendo ad una generazione che va indietro, però ho notato che dopo un periodo in cui l’arte viveva una dimensione di forte concettulità, oggi la richiesta è almeno da parte degli studenti ad un’operatività più legata al fare manuale. Questo penso dipenda da un’esigenza di traduzione più sensuale dell’opera; questo negli ultimi tempi, questa richiesta più fisica, forse anche in antagonismo alla computerizzazione dell’espressione umana.
Anche perché la dimensione più libidica dell’arte si ricava attraverso la dimensione manuale. Per quello che riguarda l’approccio alle materie artistiche, all’arte in genere nei periodi di neo-avanguardia c’era una dimensione di allegria, di gioiosità maggiore.

Anche di leggerezza?

Anche di leggerezza, oggi è più sofferta questa dimensione e più legata ad un’introspezione, legata a qualcosa che non è un evento contingente, ma al senso dell’opera.

Secondo te il talento è a prescindere, è una qualità intrinseca. Il contesto sociale può fortemente condizionare una potenziale capacità?

Io direi che c’è una dote talentuosa naturale in una persona, però va coltivata con le progressive scoperte dell’operatività. C’è anche da dire una cosa ovvero: talenti naturali in genere non hanno grandi fantasie, è più facile che vi sia nei talenti non naturali.
I talenti latenti sono dotati di grande fantasie; una persona già abile, deve paradossalmente combattere di più rispetto ad una poco abile, quelli già abili possono correre il rischio di cadere nell’autocompiacimento, chi deve conquistarsi qualcosa invece può anche far scaturire una visione del mondo.

Però nel mondo dell’arte molti cadono anche nell’autocompiacimento senza che siano dei veri talenti naturali, si sopravvalutano senza un valore effettivo…

Nel mondo dell’arte come nel mondo c’è di tutto.
Però ho visto anche figure estremamente poetiche aver delle grandi umiltà. Ho in mente un’intervista realizzata a Mirò negli anni ’80, e ne usciva la figura di un uomo dotato quasi di uno stupore infantile. L’arte quando è, è dotata di un forte ascolto, di una zona di silenzio. Devi stare ad ascoltare quello che hai dentro, per saperlo fare uscire fuori.

Esistono anche dei criteri accademici di valutazione, che in quanto accademici tengono in considerazione requisiti ben specifici; ci dicono che una cosa debba essere comunque essere in un modo rispetto un altro per fare il bello e il brutto, giusto o sbagliato…

La dimensione accademica nel contemporaneo è data dalle avanguardie.
Le avanguardie sono un’ideologia. Quando Picasso vide un quadro di un futurista, mi pare Balla, disse: “Ma questa è una scolastica…”. Definì una scolastica quel tipo di operatività.
Ed in effetti era un’ideologia che deteneva una scolastica, una scuola quindi.
Per cui da sempre le avanguardie si sono fondate su criteri accademici; determinando criteri ideologici hanno fondato delle accademie; mentre ci sono alcune figure avulse da questi criteri, proprio perché fanno riferimento alla dimensione lirico-poetica, rispetto alla dimensione ideologica.
La pop art è ideologica, come lo è l’arte povera, Du Champ è ideologia; anche il surrealismo lo è, nonostante avesse più libertà, perché verteva sulle dimensioni dell’immaginario.

Anche nella poesia vengono applicati gli stessi criteri, rima, assonanza etc...

Ci sono dei criteri di armonia interni ad ogni opera; vanno colti. La musicalità prescinde i criteri, perché l’armonia musicale è un’armonia più immediata rispetto a quella in arte, che è più mediata, cioè l’armonia musicale ha una determinazione del subito, perché ti arriva subito. Questo vale per la poesia, per la scrittura, perché l’occhio ha una percezione più lento rispetto l’orecchio…

Avrei detto il contrario, dato che la velocità della luce va oltre quella del suono...

L’occhio ha una percezione più rapida, ma la decifrazione di ciò che vede è più lenta..

La grandezza nella filosofia può prescindere anche da un approccio emotivo secondo te?

Direi che il pensiero più affascinante è il pensiero sensibile. Il pensiero logico-razionale è un pensiero deduttivo, è deduttivo perché persegue dei passaggi di gradualizzazione, mentre l’intelligenza sensibile è un’intelligenza lunare delle percezioni, dotate di immediata sensibilità. Io sono prima per il pensiero sensibile, per poi procedere con una deduzione logico-razionale, ma solo poi questa.

Severino in un suo saggio afferma che la filosofia è opposta alla poesia, in quanto la prima ricerca il bello, mentre la seconda il vero, il che sembra non concordare perfettamente…

Delle volte cerchi il bello e scopri il vero, altre cerchi il vero e scopri il bello. Non c’è una ordine determinato in cui si deve procede. Le scansioni che fa Severino non è che mi affascinino molto in genere, ma poi in Italia non amo molto i filosofi.

Carmelo Bene però anche se di teatro, con questa sua grande cultura di radice francese si potrebbe considerare un intellettuale che emerge di più rispetto altri…

Carmelo Bene, fondamentalmente aveva un senso, molto forte della foné, quindi un senso del suono e della musica forte, in più aveva una capacità verbale di indurre ad una carica evocativa notevole. Quando recitava rimandava un eco ad un altrove. Anche Gasmann, ma Gasmann in un modo parodisticamente ed ironicamente retorico. In Carmelo Bene la dimensione retorica era armonizzata con la dimensione evocativa e fonetica. Quindi sì, Carmelo bene al di là delle sue teorizzazioni, a volte molto affascinanti, aveva questa carica enorme, di trasmettere un altrove. Tu parli di una cosa, ma ne intendi un'altra.
Per cui c’era un procedere verso il lontano, un avvicinarsi lontano e un lontano vicino.

Una classicità vivente… Tu dici un’altra cosa che condivido appieno ovvero “Solo l’idea della morte ci può rendere veramente liberi…”

Sapendo che perderai la vita ti senti più libero. Fa sempre parte della logica dell’assenza; il vivere nella coscienza della morte ti rende la possibilità di fare quello che senti.

Nell’arte credo esista sempre un senso trascendente molto forte, questo fatto di andare a creare al di fuori di te, che ti estenda oltre…

L’idea dell’arte è mossa in fonda da una inaccettabilità della fine. Però ogni volta che è terminata un’opera devi riprenderne un’altra in considerazione, per perseguire questa continuità. È una creazione e quindi una creatura.…

Tu come vedi il problema rispetto “Il fare cultura” oggi giorno?

Il meccanismo della cultura nel nostro mondo è dovuto al fatto che si stanno assumendo più le proporzioni di intrattenimento rispetto a quelle di conoscenza. Molta roba che si vede, tipo convegni vari sulla filosofia, sulla scrittura, etc, sono più convegni di carattere sociologico che di carattere conoscitivo; questo anche nell’ambito delle arti figurative: la mostra è diventata più intrattenimento che promozionalità di un’opera da applicare ad un’architettura com’era nel rinascimento.
L’arte non è stata grande in questi contingenti, ma è stata grande quando un’architettura era aggredita da un’immagine, e questa aggressione era una forma di armonizzazione tra costruzione e immagine. La cultura in genere è vissuta come intrattenimento in tutti i vari assessorati, e questo ne toglie in spessore di profondità.
Poi i media che fondamentalmente non producono tanto cultura quanto informazione; la cultura e l’informazione sono cose estremamente differenti. Vengono lette da molta gente in chiave culturale, ma l’informazione non è cultura. L’informazione è una forma di banalizzazione del sapere umano.

La cultura, l’approccio culturale poi condiziona anche il talento no?

La cultura condiziona varie cose, ma poi se è vissuta come museo, il museo è un ghetto fondamentalmente, è una dimensione cimiteriale; invece la cultura andrebbe vissuta nello spazio urbano in cui la gente vive. Se destiniamo un cimitero per le visite alle immagini del nostro tempo, vuol dire che abbiamo estromesso dalla nostra vita. E questo è grave.
Così come la biblioteca, i musei sono cimiteriali.

Sembra di stare in un loculo d’arte…

Sì, ma ad un certo momento il libro della biblioteca, una volta estratto dalla sua elencazione comincia a vivere. L’opera non viene estratta dalla sua elencazione, viene manifestata nella sua elencazione museale; e questo è negativo. Vorrei che l’opera tornasse sulla struttura del vivere quotidiano, che entrasse nel circuito dell’architettura di nuovo.

Questo approccio, quand’è che è terminato secondo te…

Praticamente, la grandezza dell’arte si è esaurita nel rinascimento, ed i cimiteri sono cominciati a nascere con l’illuminismo, perché con il concetto di enciclopedia è cominciato anche il concetto di cimitero di museo, di tutto quello che è l’obitorio contemporaneo.

Quali sono le domande a cui vorresti rispondere?

Vorrei rispondere alle domande del silenzio, perché solo il silenzio pone profondi interrogativi sul senso del sacro. Il resto è chiacchiera, siamo invasi dalla chiacchiera e la chiacchiera non è disgelante di niente. C’è qualcosa di nascosto da scoprire in questa relatività in cui navighiamo, c’è un assoluto e va ascoltato.
All’origine del dolore c’è il desiderio.
È la sofferenza la grande sorella della creazione.
Di chi sa dare forma al taciuto. Dar forma al taciuto questa è l’opera. Nel silenzio. Quando ancor più che ascoltare, ti ascolti. Per comunicare la luce che hai scoperto addentrandoti nel fondo del buio privazione. Quando vogliamo essere accettati è perché non ci accettiamo, solo accettandoci siamo amati, perché superiamo il bisogno. Solo chi conosce la sofferenza prova gioia. È l’armonia dei contrari.

Un’affermazione che vorresti fare a tutti…

Ascoltatevi più che ascoltare il mondo, perché già in voi esiste il mondo.



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