Estratti dal romanzo "La ragazza definitiva"
La versione originale del copertinario è scaricabile in formato pdf cliccando la preview dello stesso qui sotto.
È il romanzo di esordio di un vero talento della nuova narrativa italiana, uno stile irriverente, fatto di frasi rapide che arrivano al segno con ironia devastante, ma anche con tenerezza. Un punto di vista iper-femminile sul mondo, un confronto tra maschile e femminile, tra generazioni, tra immagine di sé e realtàdei sentimenti. Una continua invenzione di situazioni rocambolesche e spiazzanti attraverso cui Gisy passa con delicatezza e con innocenza. Ironia, sesso, amori raccontati in pagine limpide, messaggi via sms, mail, lunghe confessioni. Amore per la vita e fatica di stare al mondo, quando la bellezza e l’intelligenza diventano quasi un impaccio. Quando è impossibile, ma proprio impossibile passare inosservate...
Mentre ascendevo al cielo c’era la folla di spasimanti che si accalcava a mo’ di scala umana, tanti uomini uno sopra l’altro cercavano di raggiungermi. Tutti a me, tutti a me, dalla mia altezza ghignavo, una folla a piramide con un gran torcicollo pur di tendere verso l’adorata.
Erano lì giù che si davano un gran daffare pur di raggiungermi, lì che si aggrappavano l’uno all’altro, e gli ultiminella cima sbandieravano le mani come tante lingue di drago pur di sfiorarmi una chiappa. Io ero lì, sopra tutti, una specie di Madonna altezzosa, avida, e se vuoiun po’ sadica, che su quella folla ci buttava il pacchettino di patatine appena rosicchiate: seta d’angelo unta da patatine artigianali.
Tenete, vi concedo pure le mie scartoffie, plebei.
Accontentatevi.
So che è fatica pensarlo, ma alla fine mi sento romantica. O meglio: con un cuore romantico. Ma è vero, mica per scherzo. Che quando ascolto certe canzoni che mi commuovono mi vien da darla, così se qualcuno ci becca nella musica come sul mangiare ha buone probabilità che ci stia. C’è stato poi proprio un periodo specifico della mia vita in cui ascoltavo solo due cantautori che mi facevano proprio l’effetto «te la do», e se i pretendenti non li adoravano come me erano già scartati. Avevano un bel da dirmi che sono bellina, che sembro la madonna. Sì, a mani giunte. Allo stremo.
Che se non attacca col fatto che sembro la madonna allora sono carina.
Che se non attacca col fatto che sono carina allora sono figa.
Che se non attacca col fatto che sono figa, allora ho fascino.
Che se non attacca col fatto che ho fascino, allora ho stile.
Che se non attacca col fatto che ho stile, allora sono tutte le donne.
Che se non attacca col fatto che sono tutte le donne, allora sono anche un po’ come un uomo. Ma donna.
Che se non mi va bene niente di tutto questo, porca puttana, che sia quel che voglio, purché ci stia.
Ma magari poi non ci stavo uguale. Uno mi ha detto: «Ma, cazzo, a me no?! Ma se ti sei fatta mezzo mondo!».
La risposta sembrava ovvia: lui si trovava nell’altra metà.
Oh, metà non è mica poca, anche quella «no».
E lui cosa vuoi che mi dicesse?! Le romanticherie alla Cocciante: «Io non posso stare fermo con le mani nelle mani». E vabbè, cosa posso farci?! Fatti una sega.
Capita ancora di imbattermi in chi ritiene che fare la modella non sia un lavoro poi rispettabile, anzi, che non sia nemmeno un lavoro, talvolta. Fatto sta che dopo due mesi tre da qualcuno mi sento sempre dire: cara, per amore si cambia. Ma come?! Non mi amavi per come ero? Beh, sì. Ma io pensavo fossi diversa, e aggiunge che fare le foto un attimo succinta non è realmente quello che il mio io profondo ricerca. Gli rispondo che probabilmente il mio io profondo è talmente così profondo da non sentirlo proprio nitidamente, ma di una cosa sono sicura: che il mio io più terra terra ha bisogno di cibo per tenere vivo anche l’altro io che non conosco. Dunque, visto che io e l’altro mio io sottostante non ci siamo mai rivolti la parola, che non mi rompa i coglioni, che a pranzo e a cena io voglio cibo, e con le foto riesco a nutrimi più che con altre cose mistiche.
Uno, ad un certo punto della propria vita, credo che questi conti per propria vanità li faccia comunque, e succede pure che chi ti porta a letto in genere vorrebbe saper subito la propria collocazione: cioè, dove si trova rispetto a quelli «prima». Ma io posso sapere solo dove si trova rispetto a quelli «dopo», dato che quelli prima me li dimentico e quelli dopo saranno dimenticati: ma dal momento che non li conosco ancora, mi piace pensare che non sarà così. Fatto sta che non è facile tenere i conti. Non dico per me, che mi sembra una cosa anche brutta tenere il numero, ma a pensarci non saprei come contarli. Se uno mi chiede: «Con quanti uomini sei stata?», a me non viene spontaneo un numero, magari più una cifra circa. Le prime cose che mi vengono da chiedere sono: «Gli stupri fanno numero?» , «Solo pompini valgono mezzo?», «Limonare vale qualcosa?», «Le donne contano uno?», «Le orge valgono doppio?». Perché sembra una sciocchezzama anche solo cinque orge, ad esempio, portano su la cifra. E le donne non vedo perché non contarle, anche se certi uomini non so com’è che non le contano, se te donna sei stata con una donna. Io quelle le conto, invece le orge non mi viene da includerle, perché essendo l’orgia una cosa troppo generica non riesco molto a considerarla. Conto i rapporti singoli, cioè a due, perché, come dire, c’è un modo di vivere la poligamia individuale, e un modo di vivere la monogamia collettiva, come quando infatti stavo con qualcuno che però gli piaceva vedermi a trivellare anche con gli altri. E quello, se uno ci pensa, non è un tradimento, in effetti. Però il conteggio non è facile per nessuno, credo. In genere quelli che dicono una cifra alta e precisa di solito raccontano balle, tipo «ottantasette». Io non ci credo perché fino a venti sì, ti ricordi benone. Poi uno comincia a contare con i multipli di cinque, dieci, più o meno, e non dice trentadue, ma o trenta o quaranta. Già trentacinque un po’ stona. Allora non so mai bene che cifra dire perché cambia di parecchio a seconda dei criteri.
È una cosa affettuosa baciare. Ma poi uno rimane con tre metri di cazzo da estinguere e si lamenta se lo baci solo e poi non gliela dài. Con il tempo ho imparato a baciare quasi solo le volte che la do. A dirla tutta, è capitato anche a me di chiavare senza baciare prima, nonostante mi dicano sia una cosa più da uomini. Ma anche questa mi pare una puttanata, perché se è una cosa più da uomini, comunque un uomo credo lo faccia con una donna. Di chiavarla senza bacio dico. Allora poi, anche se si fa finta di no, è una cosa anche da donne, cioè: per tanti uomini che vogliono farlo e per tante donne che ci stanno a farlo. Tornando al mio caso, è stato comunque un episodio isolato, e c’è un motivo ben preciso. Questo tipo aveva un’alitosi da fumo pregno che sembrava si fosse fumato un albero senza filtro, e anche se quando è venuto a casa mia aveva in bocca una bacchettina di liquirizia per camuffare l’Amazzonia in tiro, io sentivo che con un bacio sarebbe stato capace di trasmettermi il cancro ai polmoni. Allora un po’ facevo dribbling con la testa a schivarlo, per poi finire a pecorina (che in questi casi è comodo, così non si ha a che fare con uno scontro frontale di faccia e bocca). In genere però il bacio è una cosa fondamentale, anche se molti uomini mi dicono di no, ma certi insistono che a baciare qualcuna, se hanno solo voglia di chiavare no, se la scopano solo. Io comunque non capisco fisicamente uno che ti chiava subito senza nemmeno dirti ciao, che adesso, a parte i sentimentalismi, secondo me fa attrito, a metterlo dentro così. Però se è capitato una volta anche a me significa che in qualche modo poi ci va, e pure se io non l’ho baciato e lo schivavo, lui non ha mica fatto tante storie. In dialetto veneto c’è un detto molto fine che spiega questa sbrigatività maschile: «Figa xe figa e casso no ga oci». Al tipo comunque poi gli ho offerto una tisana alla menta e limone. Finito di bere questa mi dice: «Oh, vado in terrazzo a fumarmi una paglia». Cazzo, allora non ci siamo proprio.