Intervista a Fabrizio Buratto
Intervista a Fabrizio Buratto: identità e lavoro - ecco il suo libro Curriculum atipico di un trentenne tipico
Tu nel tuo nuovo libro Curriculum atipico di un trentenne tipico, dài molti spunti sull’ingiustizia che si abbatte su queste nuove generazione riguardo il mondo di lavoro…Un tempo i conti erano di versi…oggi uno studia paga le tasse si fa il mazzo ben che vada 5 anni di università, si passa allo stage gratuito che devi ringraziare il cielo amen, e poi incrociare le dita forse e semmai per un rinnovo a chissà quale tipo di contratto…
Già… più che di ingiustizia parlerei di un mercato del lavoro che è cambiato in tutto il mondo per via della globalizzazione. Negli Stati Uniti o in Inghilterra, per fare due esempi, la flessibilità però è un’altra cosa. Al lavoratore sono offerte meno garanzie ma viene pagato di più. Da noi gli stipendi sono rimasti uguali, mentre si sono persi diritti acquisiti dai lavoratori in cinquant’anni: mutua, ferie pagate, tredicesima, tfr. Io non ho mai visto nulla di tutto questo. Eppure lavoro da quando ho vent’anni. Prima ero co co co, ora co co pro, domani chissà… cu cu ru cu cu paloma. Tutte queste sigle hanno come comune denominatore quello dell’incertezza.
Un dottorato te lo pagano scarso 800 euro al mese e invece personaggi famosi in tv prendono per un quarto d’ora 5 volte tanto uno stipendio medio - com’è possibile?
La giustizia non è di questo mondo, non lo è mai stata… Solo Renzo nei Promessi sposi, dall’alto della sua ingenuità, poteva urlare: “Finalmente c’è giustizia a questo mondo!” Nel nostro paese, poi, la cultura non è percepita come una ricchezza, un valore, ma come una perdita di tempo, qualcosa di palloso… Così le menti migliori se ne vanno e il made in Italy affonda. Sono stato assistente in università per tre anni. Un hobby che mi sono potuto permettere perché ho un lavoro che mi consentiva di gestirmelo...
Non rimpiangi di aver lasciato la “carriera universitaria”? Ed ora quali sono le tue prospettive...
No, non si poteva nemmeno parlare di carriera, non stavo facendo nessun dottorato. Però mi mancano le lezioni. Mi piaceva prepararmele e avere uno scambio con gli studenti che mi chiamavano prof!
Credi ci possa essere in futuro una meritocrazia ?
No, ma bisogna continuare a vivere come se fosse possibile. Del resto io, e anche altri ragazzi che conosco, mi sono conquistato tutto senza raccomandazioni: laurea, corsi gratuiti del Fondo Sociale Europeo e lavori. Alla fine la meritocrazia un po’ paga perché le aziende non possono permettersi di avere al loro interno solo raccomandati inetti. Non andrebbero avanti...
Per vivere sereno ho imparato a non fare paragoni e andarmene per la mia strada.
Com’è possibile che in diseguaglianze così palesi non ci sia un intervento esterno tipo lo Stato, quindi non parlando di privati – la ricerca scientifica ad esempio come altre non è finanziata affatto, un ruolo di UTILITA’ pubblica sembra essere tutto sommato preso sottogamba rispetto ruoli che sicuramente fanno girare più il danaro, ma che in fondo sono essenziali solo ai fini di un mercato, ad un idea di pseudo benessere – più che ad un benessere reale quale appunto la ricerca potrebbe supplire – in altri stati – come l’America ad esempio è ben diverso... i meriti son riconosciuti quando si hanno...
Secondo me è un discorso culturale… In Italia, come diceva il Guicciardini, abbiamo sempre guardato al nostro “particulare”, al nostro orticello. Non c’è progettualità. L’utilità è misurata sui tempi brevi. Le aziende, ad esempio, non spendono in corsi di aggiornamento del personale, ne consegue che molti cinquantenni non sanno usare il computer e fanno in un giorno il lavoro che potrebbero fare in un’ora, costando molto di più all’azienda stessa. Ogni giorno ci sono parecchi di infortuni sul lavoro, anche mortali, perché le aziende non investono sulla sicurezza. E’ un bollettino di guerra che i telegiornali si guardano bene dal divulgare, con un costo sociale in pensioni di invalidità altissimo. Non sono mai andato negli Stati Uniti, ma a quanto ne so, negli States la competizione è reale. Si cerca di dare a tutti una possibilità, anche se la visione alla Forrest Gump non è verosimile.
Tu inizi questo tuo libro partendo dal fatto che il nome che ci portiamo appresso è la nostra identità, in un qualche modo il nostro destino – e ti analizzi partendo da nome – cognome – data di nascita - via – città di residenza – ind mail…tutto quello che insomma fa di noi – noi. Partendo da questo riflessione tu dici "non hai mai potuto permetterti di lasciare nulla al caso, ma allo stesso tempo dici che - nel nome è inscritto il proprio destino- dato che “nomina sunt consequentia rerum” ovvero i nomi sono la conseguenza delle cose..."
Forrest Gump, appunto… Non è vero che siamo tutti uguali e abbiamo tutti le medesime possibilità. Siamo tutti diversi, per fortuna, e le possibilità che abbiamo sono appunto variabili della fortuna, intesa come caso. Non scegliamo il nostro nome e cognome, non scegliamo dove nascere, quando e da chi... Non scegliamo le nostre inclinazioni, attitudini, carattere, pregi e difetti. Sono convinto che in tutto il corso della vita, anche se non ce ne accorgiamo, scegliamo ben poco. Non siamo liberi, mai, ma molto predeterminati. L’importante è capire chi siamo e cercare di diventarlo... “Fortuna”, in latino, è una vox media, ovvero sta a significare “fortuna” nel senso di “culo”, ma anche di “sfiga”. Ecco, io sono convinto che la fortuna, le occasioni, vadano cercate... Occorre sbattersi molto, ma se uno ha dei sogni, intesi come spinte a fare qualcosa, li deve inseguire ad ogni costo... poi possono realizzarsi o meno, ma l’importante è fare il possibile per non avere rimpianti.
E’ possibile non avere rimpianti? Tu ne hai?
Rimpianti no. Certo, con il senno di poi, so di avere commesso degli errori, so che avrei potuto gestire meglio alcune situazioni. Ma questa, come si dice, è l’esperienza. I rimpianti rappresentano qualcosa che avremmo voluto fare e non abbiamo fatto. In questo senso io ho sempre seguito le mie inclinazioni, contro tutto e tutti, a partire dai miei genitori, come racconto in alcune parti del Curriculum.
Il tuo è un segno pulito, ironico e amaro – poi mi ha divertito quando parli di Alessandria, tua città natale e di residenza che a suo tempo per l’inaugurazione dello stadio messo a nuovo, fu invitata la squadra dove giocava Pelè…e uno del posto ha esclamato “Ma chi è quel neger mes in camp”...
L’ironia fa parte del mio carattere, è sempre stata la mia arma di difesa e di attacco. Se ci si prende sul serio è finita, specie in una situazione sociale come questa...
Ma mi pare che purtroppo il più delle persone non l’abbiano capito... anche in ambiente “di cultura” sembra sempre che ci sia un giudizio universale – qualcosa di sentenziale sempre costantemente giudizi onnipotenti... tu che ne hai conosciuti molte di queste situazioni di me cosa dici...
Non vorrei banalizzare, ma i professori cattedratici con il culo parato e chi, come loro, occupa posizioni di privilegio, anche se dignitosamente e meritatamente raggiunte, non vive il problema sulla propria pelle e dunque tende, come si dice, a far della filosofia. Ma è normale, perché pure i figli di questi signori si trovano in una condizione economica privilegiata e dunque i loro padri non sanno come vive la maggior parte dei giovani. Insomma, secondo me è normale, nessuno si sporca le mani per toglierti dalla merda. Ci si deve togliere da soli.
Li ad Alessandria o sei “un perdi bale” o uno che se ha combinato qualcosa crede di essere chissà che…ecco te che rapporto hai con Alessandria e in quale delle due categorie rientri agli occhi delle alessandrini... ;)
Alessandria rimane la mia città, quella che mi ha svezzato, come scrivo nelle dediche del libro. Ma non direi che ci sono legato, vivo a Milano da quattro anni e non mi manca per nulla. Mi manca molto, invece, il Monferrato, dove da piccolo andavo spesso dai miei nonni materni in campagna. Nel libro ne parlo, racconto aneddoti di quando ero bambino; alle voci che si trovano in un normale curriculum ho aggiunto anche quelle che non ci sono, come una giornata particolare o un pensiero infantile. Voci fondamentali per conoscere veramente una persona, che nessun datore di lavoro ti chiederà mai... Non saprei in quale categoria rientro per i miei concittadini. So che a Campobasso hanno organizzato un convegno sul precariato a partire dal mio libro. C’erano un centinaio di persone, mi hanno intervistato la tv locale, Rai tre e due giornalisti della carta stampata. Alla presentazione che ho fatto ad Alessandria non c’era nessun giornalista, anche se erano stati avvisati, come la tv locale...
Come mai, disinteresse, non viene visto come un problema reale...?
Ma no, diciamo che nemo est profeta in patria!
Oggi le lauree danno delle super specializzazioni – ovvero sai tutto- tutto –tutto all’interno di un ambito di un ambito di un determinato settore, ma forse questa scissione fa perdere il senso del contesto generale, che forse sarebbe più importante, cosa ne pensi?
Non credo che le lauree diano questa super specializzazione… forse alcune, quelle più tecniche, ed è giusto che sia così. Una persona si può fare benissimo una cultura al di fuori dell’università. Conosco molti laureati ignoranti e non laureati con una cultura molto vasta. Il livello culturale medio si è molto abbassato. Quando interrogavo gli studenti, nel corso degli esami mi sono sentito dare spesso risposte terrificanti. E’ colpa della scuola dell’obbligo, il cui livello, negli ultimi dieci anni, è drasticamente precipitato. Del resto i professori, figure chiave nella formazione dei giovani, sono trattati di merda. Torniamo al discorso di prima. Non si investe sulla cultura, per questo l’Italia è diventato un paese di serie B.
Come è possibile raggiungere una meritocrazia se non è su carta…cioè in teoria quel che viene rilasciato come attestato dovrebbe essere un punto fermo di garanzia, sappiamo che non è così, viceversa se non hai la carta che attesta cioè che in teoria sai fare in alcuni ambiti (i più) non vai da nessuna parte... si supererà questo punto, trovi sia giusto che le lauree dettino un valore sociale..?
Totò direbbe, a proposito del pezzo di carta: “Ci si pulisca il culo!” Ed infatti questo possono fare i laureati con la pergamena della laurea. Non direi che la laurea costituisca un valore sociale, lo è molto meno rispetto al passato. Sono pochi, per fortuna, i laureati che si fanno chiamare “dottore” o fanno precedere dott. al loro nome sul campanello. Quanto alla meritocrazia, ripeto, esiste ma non a livello generale. Perché non è nel dna di questo paese che non si vergogna se in Rai il figlio di Piero Angela conduce dei programmi da solo e col padre. Che concorso ha vinto? Quello del più bel figlio di papà?
E poi comunque questi “specializzati” escono e che tipo di rapporto si ritrovano cl lavoro? Devono spesso trovarsi a fare lavoretti che non sono per nulla inerenti alla loro specializzazione, è umiliante un po’ o no, è giusto che uno sperimenti anche altro rima di ritrovarsi nel suo campo?
Lavoro significa identità. Andare a svolgere un lavoro che non c’entra nulla con la laurea o il titolo di studio conseguito risulta spersonalizzante. Può creare seri problemi di autostima. L’Italia è uno dei paesi europei con meno laureati, eppure non riesce a garantir loro un lavoro. C’è qualcosa che non va...
Ti pare che uomini e donne al giorno d’oggi nelle opportunità di lavoro siano messe sullo stesso piano?
Assolutamente no. Il nostro è un paese molto maschilista. E’ un dato di fatto che le donne, a parità di incarichi, siano pagate di meno. Ora, con i contratti a progetto, sono ancora più penalizzate. Stai sicura che se una donna rimane incinta il contratto non le viene rinnovato e mentre ha il pancione non trova lavoro. Le donne sono anche più soggette a mobbing, a molestie sessuali e psicologiche sul luogo di lavoro.
Non ti sembra che con la scusa di “questi stage” post laurea fanno passare lo sfruttamento come un favore di prospettiva lavorativa...
Sono perfettamente d’accordo. Nel mio Curriculum atipico descrivo uno dei miei due stage, e non le mando a dire. Lo stage dovrebbe essere un periodo di formazione in cui il giovane viene inserito nel mondo del lavoro, con un tutor che lo segue, che gli insegna delle cose. In realtà gli stage sono un escamotage (perdonami il gioco di parole) che consente alle aziende di avere dei lavoratori completamente gratis. E’ vergognoso. Nel 2006 in Francia gli stagisti hanno fatto una manifestazione. Fra un po’ dovremo pagare per lavorare, come Fantozzi in Fantozzi va in pensione.
A proposito di Fantozzi, prima di “curriculum atipico” hai scritto un libro (raccogliendo anche interviste) pure su Fantozzi, mitico personaggio, maschera dello spirito umano…come mai una scelta del genere, cos’ha rappresentato di tanto importante Paolo Villaggio in questi panni?
Prima lasciami dire che mi sono laureato in Storia con una tesi su Fantozzi dal titolo Fantozzi una maschera italiana, pubblicata da Lindau. Questo personaggio mi è sempre piaciuto, quando ero piccolo lo imitavo causando le ire di mia madre e della mia maestra. Crescendo mi sono accorto che Fantozzi ha diversi piani di lettura. Piace ai bambini perché è un cartone animato, agli adulti perché mette alla berlina i vizi italici. Villaggio ha creato una maschera, un gergo (l’aggettivo fantozziano è nel nostro vocabolario), ed ha messo su pellicola quello che Pasolini in Scritti corsari aveva previsto. Ovvero che il nostro Paese andava verso lo sviluppo e non verso il progresso, intendendo per sviluppo un mero indice economico. Quando chiesi a Villaggio: “Se Totò è la maschera della fame dell’italiano nel dopoguerra e Sordi quella del cinismo, con Fantozzi quale topos crede di incarnare?” Villaggio mi rispose: “Fantozzi è vittima del consumismo”.
E’ cambiato il valore di Fantozzi negli anni?
Fantozzi ha testimoniato un’epoca, un periodo che ormai non c’è più. La classe impiegatizia di cui era l’emblema ha subito un declino inesorabile. Socialmente ed economicamente non c’è più nessuna differenza fra un impiegato ed un operaio. Prendono lo stesso stipendio, fanno la spesa nello stesso ipermercato, guardano la stessa merda in tv. Rimane la sua straordinaria comicità e il suo iperbolico senso critico. In altre parole, quel tipo di impiegato è in via di estinzione, ma milioni di persone, ogni giorno, prendono l’autobus al volo, fanno zapping forsennato davanti alla TV e comprano beni di consumo (puttanate) a rate.
Tu hai detto che Fantozzi suscita in uomini e donne sentimenti differenti ovvero nell’uomo l’umorismo e nella donna invece la pietà…tu hai spiegato questo con un chiarimento di Pirandello... che ci dimostra perché l’apprezzamento di questo “eroe” è prevalentemente maschile...
Vedo che questo aspetto ti ha colpito. Cercherò di sintetizzarlo. Pirandello nel saggio L’umorismo osserva che, se io vedo una vecchia signora tutta truccata e vestita da giovane, come prima reazione mi metto a ridere. Se poi penso che forse si è conciata così per piacere ancora al marito più giovane di lei o perché non vuole accettare la sua vecchiaia, mi fa pena e non rido più. Questa è la differenza fra l’ironia (l’avvertimento del contrario) e l’umorismo (il sentimento del contrario). Gli uomini, spesso, si fermano all’ironia, mentre le donne, che sono più sensibili, avvertono l’umorismo. Ma Fantozzi non è umano, è come un cartone animato che può precipitare dal quinto piano o essere schiacciato da un masso per poi risorgere dalle proprie ceneri come la sua inseparabile Bianchina.
Hai dei prossimi progetti narrativi o di scritture? E/o prossimi progetti?
Per me scrivere è un’esigenza fisiologica, dunque continuo a scrivere, quando mi viene e quando trovo il tempo per farlo. Ho in mente il titolo e la copertina del prossimo eventuale libro. Ma prima devo trovare qualcuno che me lo pubblichi. Considerato che Curriculum atipico sta andando bene, forse ora sarà più facile. FORSE.
Tre cose che elimineresti dalla faccia della terra...
Le auto, le religioni, le armi.
Cosa ti senti di eleggere ora come ora...
Eleggere o leggere…? Eleggere nulla. Leggere molto.
Una frase se c’è che vorresti dire a tutti...
John Stuart Mill nel Saggio sulla libertà scriveva: “La mia libertà deve finire dove inizia quella altrui”.
Una semplice regola che, se rispettata, ci farebbe vivere in un mondo migliore.
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Fabrizio Buratto: Sito personale: http://www.fabrizioburatto.it