Paolo Nori è nato a Parma nel ’63, e ora vive a Parma. Dopo una doppia carriera di magazziniere-traduttore dal russo, ha pubblicato una serie di libri Le cose non sono le cose (Fernandel 1999), Bassotuba non c’è (Derive e Approdi 1999, poi Einaudi 2000), Spinoza (2000), Diavoli (2001), Grandi ustionati (2001) e Si chiama Francesca, questo romanzo (2002), tutti negli Einaudi Stile libero. Ha tradotto la raccolta degli scritti di Daniil Charms, Disastri e, per "I Classici" Feltrinelli, Un eroe dei nostri tempi di Michail Lermontov. È autore, insieme a Marco Raffaini, di una Storia della Russia e dell'Italia e, insieme a Fabio Bonvicini, dell'audio libro Learco. Per Feltrinelli ha pubblicato Gli scarti (2003), Pancetta (2004) e Ente nazionale della cinematografia popolare (2005), I quattro cani di Pavlov (Bonpiani 2006).
- Tu hai una produzione molto prolifica; una volta hai detto “basta mettersi lì, poi le idee arrivano”, beh mica a tutti mi verrebbe da dire, sarebbe facile sennò, com’è che ti metti lì, e a te le idee arrivano in gran quantità?
C’entra forse anche il fatto che non faccio nient’altro. Scrivo solo libri, non scrivo per il cinema, non scrivo per la televisione, non scrivo per la radio, non scrivo per i giornali. Allora agli altri sembra che scriva molto, io ho sempre l’impressione di scrivere poco.
-Nella scrittura sei riuscito a trovare una tua voce, molto particolare che suona in modo che facilmente si può ricondurre a un’intonazione musicale, cos’è che ti scandisce questo ritmo? C’è una qualche relazione anche con la musica nel tuo scrivere?
Ho idea che il suono, in una pagina, sia importante come il significato, e allora passo molto tempo a lavorarci. Più che con la musica direi che c’è un rapporto con i suoni prodotti dalle parole.
-Esistono dei sentimenti che fanno scrivere più di altri? Voglio dire, spesso è in uno stato un po’ sofferto, rabbioso o enfatico che si ha voglia di esternare, oppure tutto può riuscire bene anche nella quiete?
Mi vien da dire che è lo stupore, che mette in moto la scrittura, perlomeno la mia, e lo stupore poi si trasforma nei sentimenti più vari, ma la radice, forse, della scrittura, è in quel momento lì, in cui il mondo ti prende di sorpresa.
-In questa vasta produzione in pochi anni, c’è qualche romanzo al quale sei più affezionato, e un altro che riscriveresti in modo differente?
Adesso è un periodo che mi torna molto in mente Gli scarti, fino a pochi mesi fa il romanzo a cui pensavo più spesso era Grandi ustionati. Le cose che ho scritto, devo dire, mi piacciono.
-A quali autori senti di dover riconoscere una forte influenza nel fatto di aver creato “un tuo stile”? Vedo che nei tuoi libri nomini spesso sia Bernhard che Charms…
Credo che l’influenza di Charms sia la più importante, ma gli autori, che ho, diciamo, assimilato, sono parecchi, un altro è Erofeev, un altro Bernhard, senz’altro.
-E di Malerba cosa mi dici?
Anche Malerba è stata una grande scoperta, per me.
-Quanto credi abbia influito il tu lavoro di traduttore (dal russo) nella tua formazione di scrittore?
Se uno studia una lingua straniera si accorge per esempio del fatto che conosce molto bene l’italiano, ma non così bene come crede. Si accorge che dentro la sua lingua madre, che è uno strumento che di solito usa inconsapevolmente, o in modo semiinconsapevole, ci sono come tante stanze e che ci si posson far dei bei giri, lì dentro, mi viene da dire.
-Avresti mai pensato in passato che avresti fatto lo scrittore di mestiere? Questo ti ha cambiato in un qualche modo? Credi che abbia cambiato il tuo stesso modo di rapportarti con la scrittura?
Ho cominciato a scrivere con l’intenzione di farlo di mestiere. Questo mi ha cambiato, senz’altro, e ha cambiato il mio rapporto con la scrittura ma soprattutto con la lettura; ho cominciato a vedere quello che leggevo, mentre prima leggevo come se leggessi dei riassuntini.
-Fare lo scrittore, può essere un lavoro come un altro?
Sì.
-*In Spinoza, dici che Bernhard odia le storie. Cosa vuol dire? Anche tu le odi?
Credo che lo dica lui che quando vede una storia gli spara.
-*In storia della Russia e dell’Italia, dici che nessuno scrittore italiano ha inciso in maniera importante sulla società italiana, come hanno fatto invece in Russia gli scrittori russi. Perché secondo te? Potresti farmi degli esempi di scrittori russi che tu citi ma che io conosco poco. Niente.
E’ spiegato tutto lì, nelle ultime pagine del libro, con gli esempi e con tutto.
-*In alcuni passaggi dei tuoi libri, parli anche se indirettamente del tuo modo di scrivere e critichi anche certi scrittori.1 Qual è il guaio della letteratura italiana contemporanea secondo te?
Ci sono varie strade, per scrivere, e ce n’è una che se vogliamo trovare un capostipite è forse Zavattini, ma non so di preciso, ed è una strada che a me vien da dire antiletteraria, sulla quale si sono incamminati in tanti, ciascuno con il proprio passo, e mi sembra che tutto sommato stiano tutti abbastanza bene. Dopo forse non sono gli scrittori di cui parlano ogni settimana i settimanali, ma forse non è un difetto degli scrittori.
-Cosa ne pensi dello scrivere contemporaneo “al femminile”? (io personalmente ne sono molto delusa)
Non so se ha senso dividere la scrittura tra una scrittura maschile e una femminile. Io adesso sto lavorando su un personal computer, non mi sono mai chiesto se è stato progettato da un uomo o da una donna. A scuola ho avuto professori maschi e professori femmine ma non ho mai diviso gli insegnati tra quelli che insegnavano in modo maschile e quelli che lo facevano in modo femminile. Se vado in un ristorante non è che indovino da come sono i tortelli se il cuoco è un maschio o una femmina.
- Però esiste una certa diffidenza generale verso il romanzo al femminile; a parità di titolo e contesto, anch’io se so già anticipatamente che l’autore è donna ho qualche resistenza in più nel prenderlo e tendo a diffidarne, ((anche se mi rendo ben conto che in buona parte è un preconcetto), questo non vale però per i saggi)). Credo non sia un’idiosincrasia sola mio. Insomma, mi pare che le donne son lette più frequentemente da un pubblico femminile, gli autori uomini son letti sia da uomini che da donne…
Sì, può darsi.
-Quanto scrivere sta diventando anche di moda? Molti reading (o diciamo letture che meglio) non sono “in più”, senza che ci sia da parte del pubblico un’esigenza vera…Cosa ne pensi?
Se dovessi togliere le cose che sembrano in più a me, sparerebbero molte cose e le letture, anche quelle che non mi piacciono, non sarebbero tra le prime a sparire perché non sono poi tanto fastidiose.
-*C’è qualche scrittore contemporaneo che apprezzi? E gli scrittori emiliani? È un caso?
Celati, Cavazzoni, Benati, Cornia, Raffaini, Sergio Bianchi, Edoardo Nesi, Marco Drago, tra gli italiani, e ne dimentico qualcuno. La metà sono emiliani e li conosco meglio perché sono emiliano anch’io.
-*Tu in Spinoza dici una cosa della gente di queste terre: “Questa sensazione di cui parla Gogol’ , che la pelle ti si stacca di dosso dopo la festa, è secondo me tipica della nostra terra, dove il carattere gioviale della gente convive con una descrizione che impedisce di manifestare in pubblico i propri sentimenti e i propri affetti. Allora il momento della disperazione è un momento solitario. Non ci sono da noi, e non potrebbero esserci […] quelle donne che in Sicilia sono pagate per piangere ai funerali. Noi affrontiamo il mondo come se fossimo tutti d’un pezzo, con una dignità e una coerenza che ci hanno insegnato che vanno bene. E quando crolliamo, crolliamo da soli, dentro le stanze. E uno che viene da fuori non lo direbbe mai, a vederci che teniamo su una compagnia di trenta persone e beviamo lambrusco e diciamo cazzate, non lo direbbe mai che diamo i pugni al muro, quando torniamo a casa”. Questo carattere emiliano ha a che fare con il tuo modo di scrivere?
Be’, sì, anche.
*Voglio dire, quello che c’è nei tuoi libri è proprio questo evitare le lagne questo controllo continuo questo trattenersi anche sul linguaggio che è anche un controllo sulla realtà. “Con la tristezza non sono capace di far niente. Fare del blues mi vengono giù delle lagne illeggibili”. Il dolore, ad esempio, lo tratti con ritegno. Ti trattieni. È come un tirarsi indietro, hai detto ad un incontro. È come se fosse uno specifico letterario, il tirarsi indietro, hai detto :” mi metto giù, mi siedo con la schiena appoggiata al muro e mi metto a piangere come una vite tagliata. Ma poco, che bisogna sbrigarsi, che c’è da andare al magazzinaggio”. -“Io leggo, scrivo alle riviste, aspetto le lettere dagli editori, scelgo i brani da leggere al circolo arci in campagna. Mi succede, due volte all’anno, che finisco un libro e sono contento. Sono proprio contento. E il postfattore, che rompe le balle e chiede Vi siete accorti?Avete capito? Posso mandarlo tranquillamente a cagare, e godermi in pace questi rari momenti di leggerezza, si sta benissimo, in casa mia, due volte all’anno”. Questi son due esempi, mi sembra, del tirarsi indietro. Di farsi povero come dici tu. In un’intervista che ti hanno fatto ho letto che il tuo romanzo era come se ti dicesse fammi povero. Come gli emiliani con la gente. Crollano poi dentro le stanze. Da soli, mica nei libri, dico. Questo tirarsi indietro mi piace. C’è sempre del ritegno, qualcosa di non detto, voglio dire, hai del rispetto verso l’intelligenza del lettore (come dici per Puskin). Non c’è bisogno di spiegare. (Camus). Un ritegno che è dentro al modo come scrivi, come vivi le cose. “Ho preso questa abitudine che dico sempre meno di quello che mi ricordo. Questa abitudine l’ho presa all’università. Che agli esami universitari, i primi esami, gli spiattellavo tutto quello che mi ricordavo […] Il professore dondolava la testa, diceva sì sì, trenta e lode. Dopo gli esami, che avrei dovuto essere contento, non ero contento per niente. Sentivo la voce che mi diceva Bravo. Bello sfoggio. Credi di essere furbo, a far questi sfoggi?” E nel linguaggio è lo stesso, con le tue scelte sintattiche e lessicali insolite e essenziali. Davvero forma è sostanza. Come guardi al linguaggio come lo usi?
È come nelle case. Puoi usare dei materiali importanti, come il marmo nero o le finestre a specchio, e colpisci, ma devi essere bravo, perché corri il rischio di essere inguardabile. Oppure puoi usare i mattoni, e devi essere bravo, perché li usano tutti. Alla fine bisogna sempre essere bravi, se uno ci riesce.
-*La forma è sostanza. Cosa significa questo in rapporto alle tue scelte stilistiche, al tipo di linguaggio che usi nei tuoi romanzi?
Significa tutto. E’ una cosa che la insegnano all’università ed è una cosa strana perché uno poi la può mettere in pratica.
-*Cosa rispondi a chi ti accusa di sterile autobiografismo? (hai recuperato questa accusa anche in forma ironica in bassotuba-sentenza del consesso degli angeli)
Niente.
-E a chi dice che la struttura della frase “io sono quello che non ce la faccio” è simile a “io speriamo che me la cavi” senza trovarci differenza?”
Io speriamo che me la cavo, era, la frase, e mi sembra una bella frase.
-*Negli Scarti c’è un punto in cui il narratore dice di far parte di questo gruppo di scrittori emiliani che scrive come parla e mai parla come scrive e un altro punto che parla del verbo dire e del suo uso nei romanzi italiani contemporanei (pag. 131?). Sembra un manifesto letterario. Qual è il senso di questa decisone, di questa istanza (scrivere come si parla, che poi non è vero. c’è uno studio un montaggio particolare, un controllo. La punteggiatura, come costruisci le frasi. Ho fatto una prova. Ho estratto delle frasi a caso dai tuoi libri. Non sono mai banali. Altro che parlato. Non usi mai parole o costrutti già sentiti.
Il senso è il fatto che saltan fuori delle cose che a me piacciono di più rispetto alle cose che scrivevo quando scrivevo come si scrive.
-*Invece nel parlato capita di incorrere nel luogo comune. Semplicemente, non è la lingua scritta a cui siamo abituati e crea un’immediatezza un po’ sgangherata. Che poi non lo so se è così. Per me è immediato. Alcuni invece che gli ho regalato i tuoi libri mi dicono, sì, ma è un po’ contorto come scrive). Perché questa decisone? Può essere anche una provocazione? Verso chi? Cosa significa? Significa essere contro il bello scrivere, il virtuosismo stilistico che come tale è fine a se stesso.
E’ normale che qualcuno non capisca, e forse ha ragione lui. I miei libri non è che si debbano leggere per forza.
-*Credi che sia necessario superare il bello stile?
In generale io ho l’impressione che oggi una scrittura antiletteraria abbia più senso di una scrittura letteraria.
-Però “antiletteraria” può voler dire tante cose, al di là del termine preso così. La sperimentazione linguistica anche può essere una forma di antiletteraria, cioè Burrougs in un certo senso è antiletterario credo, così come le neoavanguardie del gruppo ’63 si possono leggere in questa chiave, e un sacco di altri. Tu cosa intendi di preciso per “antiletterario”, ti riferisci nello specifico a quello che ha portato Zavattini?
Cosa intendo di preciso credo di non essere capace di spiegarlo. Non tutto quello che è antiletterario mi piace. Questa risposta era una specie di riassunto di tutta l'intervista, credevo si capisse rifacendosi al resto. Quello che volevo dire, forse, era che non ha senso, oggi, scrivere romanzi ottocenteschi, ma anche questa cosa forse non è molto chiara. Nella pratica, per me, il discrimine è abbastanza preciso, anche se scivolare verso l'accademia, la belletristrica (dal francese belles lettres), la copia è un rischio costante, mi viene da dire.
-*Se esistono (e mi pare che sì), come si chiamano i tuoi nemici? Tu forse penserai, queste domande parlare di nemici, penserai questa mi vuol prendere per il culo. Può essere che lo pensi, ma c’è nei tuoi romanzi una rabbia per certe persone espressioni situazioni che mi viene da dire bravo, Paolo Nori, hai ragione. Ti chiedo questo fatto dei nemici perché da certi tuoi romanzi viene fuori una rabbia. Però non trovo le parole giuste. Allora visto che sei uno scrittore, forse trovi le parole, definisci le cose, così io le capisco che mi interessa.
Non credo di avere dei nemici. Delle volte mi viene il nervoso, ma son tutte cose che se poi quando sto bene non hanno su di me nessun potere. Ce l’hanno quando non sto bene, e delle volte mi viene da scriverne e poi le cose che ho scritto magari mi piacciono e allora le tengo.
-*Parli degli intelligentoni, di gente preoccupata delle loro maestre che non son capaci di togliersi dalla testa la scuola la lingua italiana con tutte le regolette dei professori che stan sempre a far delle dimostrazioni.. degli scrittori che dentro nei libri parlano di mari in tempesta, di desideri di cambiamento, di amore della musica. A quelli che credono nei sinonimi, te gli rispondi che le ripetizioni le fai quando ti pare. Come si tolgono di torno che girano a piede libero? Ci vuole forse uno sforzo teorico….o meglio parallelamente alla vostra narrativa ci vuole forse anche della saggistica della critica letteraria che porti a sistema queste riflessioni che con la forza dell’impianto logico si risponda anche a certi detrattori che non capiscono nulla? Tu dirai che me ne frega a me di quello che devono fare i critici letterari che io sono uno scrittore?
No ma il mondo non sarà mai come vogliamo noi. Non è che quelli che non ci piacciono non devon più girare a piede libero. La nostra forza poi viene anche dalla nostra differenza. Se non ci fossero questi tromboni, il mondo sarebbe più brutto.
-*Cos’è che ti dà più fastidio in letteratura?
Non so, non saprei dire bene.
-Tra le letture “illuminanti cosa” suggeriresti?
Gli autori che dicevo prima: Charms, Erofeev, Bernhard, Zavattini e i contemporanei che ho citato.
-*Cosa consiglieresti e cosa diresti ai giovani che vorrebbero intraprendere seriamente la strada dello scrivere?
Non so se ci son dei consigli che sian buoni per tutti.
-Adesso assieme ad altri scrittori stai ideando una rivista che è aperta anche ad un eventuale pubblico interessato nel contribuire con delle idee e dei testi (ne discutete appunto anche in riunioni pubbliche a reggio emilia). Questa rivista che sarà edita da “Derivi e Approdi”, dal nome “L’accalappiacani” come credete di organizzarla, avete già un idea di come strutturarla? Pregi e difetti di testi che ti arrivano?
Abbiamo appena cominciato, stiamo cercando di capire quello che vogliamo fare. Io per adesso sono contento della qualità dei testi arrivati, ma è presto per fare qualsiasi discorso.
-Tra altri artisti (non inerenti alla letteratura) chi eleggeresti?
Eleggere non mi sembra il verbo più adatto, comunque il mondo è pieno di gente che ha fatto delle cose ammirevoli, mi viene in mente un pittore russo che si chiama Shinkarev o un pianista italiano che si chiama Petrin o un regista di Parma che si chiama Dall’Aglio che per caso è della gente che ho conosciuto e che mi sembra abbiano fatto delle cose eccezionali.
-Un regista che è sulle tue corde e i film che preferisci?
Mi piace Aki Kaurismaki e il suo film più bello, secondo me, è Total Balalajka show.
-Se c’è, una frase che invece vorresti dire a tutti…
No, non c’è.
*Ringrazio Cristina Pavarotti per l’aiuto all’intervista (è praticamente sua).
Frammenti
Da “Spinoza”
“Da piccolo facevo il portiere. Giocavo nella squadra del quartiere dove abitavo, il quartiere Montebello. Portiere degli allievi della Montebello.
Allora una volta, ero lì che dovevo rinviare coi piedi, mi sono chiesto improvvisamente Chi me lo fa fare, di rinviare la palla coi piedi?
C'erano i miei compagni, tutti voltati verso di me, aspettavano tutti che rinviassi la palla coi piedi. C'erano gli avversari, tutti voltati verso di me, aspettavano tutti che rinviassi la palla coi piedi. E io ero lì, la palla in mano, avevo appena fatto una parata, facile, colpo di testa senza forza, dritto fra le mie braccia, ero lì che cercavo di ricordarmi chi me lo faceva fare, a me, di rinviare la palla coi piedi.
C'erano i panchinari della mia squadra, tutti voltati verso di me, aspettavano tutti che rinviassi la palla coi piedi. C'erano i panchinari della squadra avversaria, tutti voltati verso di me, aspettavano tutti che rinviassi la palla coi piedi. C'era l'allenatore dell'altra squadra, tutto voltato verso di me, aspettava tutto che rinviassi la palla coi piedi. C'era il mio allenatore, gridava Che cazzo fai? Muoviti! Io stavo lì, col pallone in braccio, pensavo, pensavo.
C'erano i guardalinee, tutti voltati verso di me, aspettavano tutti che rinviassi la palla coi piedi. C'era l'arbitro, tutto voltato verso di me, aspettava tutto che rinviassi la palla coi piedi.
Poi dopo ha fischiato.
Punizione a due in area per la squadra avversaria.
Battono, tirano, gol.
Cominciato a scrivere”.
Da “Bassotuba non c’è”
Susanna Agnelli sul settimanale “Oggi”, che la gente le scrive le lettere. Una volta l’ho letta. C’era uno che le scriveva:
“Cara Susanna Agnelli
domani si sposa un amico di mio figlia, che è anche il figlio del nostro medico di famiglia. E’ un ragazzo molto caro, che ci ha fatto un sacco di bene e ci ha anche invitato al suo matrimonio. Consigliaci, per cortesia, un regalo di buon gusto da fargli”.
E Susanna Agnelli rispondeva:
“Un impianto stereofonico. Ce ne sono di tutti i prezzi e si fa sempre bella figura.”
A me, per esempio, mi scriverebbero:
“Caro Learco Ferrari,
abbiamo invitato a cena dei nostri amici a cui teniamo molto. Consigliaci un menu adeguato e di buon gusto.”
E io risponderei:
“Un bel piatto di merda, non costa niente e ce n’è in abbondanza.”